Morti e Sepolti di Chelsea Quinn Yarbro
Mai insegnare a uno zombie come funziona un accendino
"Era una coincidenza, si disse Dan. Un uomo che perde un braccio non compare la mattina dopo con un'ingessatura. Ma un uomo che perde un braccio, pensò, non tira nemmeno fuori il suo arto dalla griglia di una macchina e si mette a correre lungo la strada". [Morti e sepolti, Chelsea Quinn Yarbro, trad. Laura Serra, 1982, Urania, p. 92]
Benvenuti a Potter's Bluff, una di quelle cittadine decadenti e fuori dal mondo, dove la puzza di pesce che risale dalla spiaggia impregna l’aria e dove non succede mai niente, niente che valga la pena raccontare.
Benvenuti a Potter's Bluff dove, una mattina di un giorno come tanti, un manipolo di gente dall'aria grottesca cosparge di benzina e dà fuoco a un fotografo dilettante che se ne stava sulla spiaggia a fotografare gabbiani morti.
Benvenuti a Potter’s Bluff, dicevo, territorio di contravvenzioni dello sceriffo Dan che, di punto in bianco, si trova a dover risolvere il primo crimine violento della sua carriera.
Benvenuti a Potter’s Bluff dove, se non sei di casa, rischi di prender fuoco e dove i cadaveri proprio non ne vogliono sapere di restarsene nella tomba.
"Ed, c'è qualcosa che non va in questo paese, qualcosa che non va proprio. Nessuno ne parla, ma... i cadaveri spariscono. Uno si è alzato e se n'è andato dalla camera di lavoro di Dobbs, un altro non era nella sua bara quando questa è stata esumata... ". [p. 190]
Morti e sepolti, novelette scritta da Chelsea Quinn Yarbro, è un gustoso fanta-horror che non ha grandi pretese a parte quella di raccontare una buona storia, una che non ti faccia rimpiangere il tempo e il denaro spesi per leggerla, anche se il costo è quello di un vecchio Urania, due euro al mercatino dell'usato e ce ne riempi una valigia.
Quel che c’è di buono - anzi, buonissimo - nel romanzo è come Yarbro si muova su più livelli. Al primo livello c’è Dan e la sua ricerca della verità mentre tutta Potter’s Bluff pare fingere che non sia accaduto niente. Nulla di rilevante. In questo non dissimile da una qualunque delle melmose città maledette di un Lovecraft e di quelli che sono venuti dopo di lui. Persino la puzza di pesce è la stessa. Un giallo atipico visto che tu, lettore, sai già chi è il colpevole, ti manca il movente, ma non è detto che sia importante.
E, tuttavia, continuerai a leggere, perché come Dan s’invischia sempre più nella melma che avvolge la sua città - città che non gli sembra più tanto sua - così accade a te, che vuoi sapere che ne sarà di questo povero sceriffo imbolsito e se anche lui finirà ad arricchire la riserva di morti irrequieti che ne animano le strade. E questo è il secondo livello.
"Le poche persone che Dan vide per la strada gli apparvero stranamente deformi, come se fossero di cera e si stessero sciogliendo". [p. 191]
Oltre questi due, ce n’è un terzo, di livello.
È lo scalino che non si vede mai, in fondo alle scale immerse nella penombra. Quello che ha una crepa nel mezzo e, se non stai attento, potrebbe spezzarsi. Farti inciampare.
O peggio.
Così, mentre sei lì che scruti nell’ombra Dan, non ti accorgi dell’ombra che sta osservando te. E quando lo scopri, è ormai troppo tardi. Quando scopri che Chelsea Quinn Yarbro ti ha ingannato, fin dal principio – e come poteva essere altrimenti, ripensandoci col senno del poi, se all'inizio ti piazza davanti agli occhi la torma di invasati munita di cherosene e fiammiferi? Che mistero c'è se tutti i misteri ti sono già stati rivelati? Qual è la storia, dunque?
Perché l'indagine di Dan non è il centro del romanzo. È un artificio narrativo. Uno specchietto per allodole. Una pista balorda, che la Yarbro ti dà da seguire mentre alle tue spalle lei imbastisce la vera storia di Morti e sepolti [tit. or. Dead and buried]. Che non è affatto un giallo soprannaturale, ma un racconto d'amore e morte e una assurda partita a scacchi tra un annoiato Baron Samedi e un disorientato sceriffo di contea. Un romanzo che va letto a ritroso, una volta arrivati al finale, per ripassare sul percorso già battuto e cogliere quegli indizi che all'inizio ti erano sembrati tanto ovvi da sorvolarli con lo sguardo.
Morti e sepolti è il suo finale, con la sua aria da tragedia shakesperiana, il suo corteo di morti dolenti che sfilano a posare fiori su una tomba fresca e quel colpo di scena all'ultima riga. Una roba che a leggerla la prima volta - ma pure la seconda, e forse anche la terza – ti viene da sorridere di piacere. E chiudere il libro con la soddisfazione di un gatto randagio che s'è appena sbafato una succulenta quanto inattesa tartare di manzo.
"Se mi stai chiedendo se credo che da qualche parte uno scienziato pazzo stia per creare una creatura goffa, ti rispondo subito che no, non lo credo. Sai, se uno fosse in grado di rianimare i morti, penso che starebbe attento a fare le cose per bene, ti pare? Cioè penso che farebbe in modo che i suoi morti parlassero, sorridessero e camminassero come tutti noi." [p.164]
[Post, rieditato e modificato, pubblicato originariamente sul mio precedente blog - letturepericolose.blogspot.com]